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…e la sua collezione di costumi sardi

C’era una volta una bambina che sognava di trovare un tesoro e diventare…
“Indossavo l’abito tradizionale sardo e mi sentivo una regina”.

Anna Aledda, 67 anni, di Villasalto, quando ne aveva cinque andava a lavare i panni al fiume e fino ai dodici dovette fare la pastorella per aiutare la sua famiglia. In campagna beveva il latte dell’asinello per alleviare i crampi della fame, poi sognava e fantasticava grazie ai racconti del nonno paterno e della nonna materna. «Le loro storie parlavano di tesori. Con l’immaginazione staccavo il pensiero dalle fatiche. Mi sono salvata così». Compiuti i sedici anni arriva a Cagliari e inizia a lavorare nella storica drogheria Clavot in piazza Yenne, finché col marito non apre la sua nel corso Vittorio Emanuele.
La sua avventura da collezionista di costumi sardi ha inizio il giorno delle nozze.
«Avevo 19 anni. Mia suocera mi regalò il suo abito tradizionale di Lodine. Le suore del quartiere La Marina gli ricamarono una balza bianca e lo indossai per il mio matrimonio».
Dopo una pausa di trentacinque anni, durante i quali fa qualche comparsa nelle sfilate di Sant’Efisio, si avvicina al folclore ed entra a far parte del gruppo folk “Su Idanu” di Quartu Sant’Elena.
Si riaccende l’amore per i costumi tradizionali.
«Le signore anziane venivano in negozio ad affidarmi gli abiti delle mamme e nonne. Io li toccavo, me li appoggiavo sul viso e chiudevo gli occhi per sentirne l’anima e fantasticare, chissà di chi era, chissà se ha portato gioia. Infine li compravo o me li regalavano».
Una cabina armadio che pian piano si riempie, ospitando le fogge degli abiti di tanti paesi della Sardegna: Cagliari, Quartu Sant’Elena, Gavoi, Lodine, Ittiri, Sulcis, Ollolai, Thiesi, Cabras, Desulo e ancora, ancora. «Tutti autentici».
Lei che da bambina amava ascoltare i racconti, oggi ne ha tanti da narrare, e uno in particolare: è la storia di come venne in possesso dell’abito tradizionale di Cagliari, nelle versioni di sa panattara, su bistiri ’e seda e su bistiri ’e lussu, tre capi unici, provenienti dalla stessa famiglia, i Mostallino, ma lo scoprì per caso.

La storia. Negli anni settanta Anna lavorava nella drogheria Clavot in piazza Yenne, e quando le signore anziane uscivano dal negozio cariche di buste per la spesa, le aiutava ad attraversare la strada dalla piazza al corso Vittorio Emanuele. «Feci così anche con la signora che, erano ormai trascorsi trentacinque anni da quel giorno, tramite la figlia, mi invitò a vedere il suo abito tradizionale di Cagliari, la signora Gesuina Masala. Si ricordava ancora di me».

Anna si recò nella sua abitazione e trovò il costume di Cagliari dentro una cesta ricoperta da un telo bianco, riposta sopra l’armadio della camera da letto della signora Gesuina. Quella cesta per tanti anni aveva custodito la gonna di seta azzurra, il gippone nero, il grembiule ricamato di pizzo bianco, la cuffia e la mantiglia rossa dell’abito di sa panattara, risalente alla prima metà dell’ottocento. «Il cuore mi batteva all’impazzata, le mani tremavano e gli occhi non si staccavano da lì. Me lo fece indossare compiaciuta. Poi le feci i complimenti e andai via». 

Insieme all’abito c’era anche un scialle di seta verde e viola. Anna non capiva come mai quel capo si trovasse insieme al costume de sa panattara, ed era curiosa. «In un primo momento non domandai a chi appartenesse, lo feci dopo, nel secondo incontro, quando comprai il vestito e lo portai via con me insieme allo scialle che mi regalò». Lo scialle apparteneva alla mamma di Gesuina, Giuseppina Mostallino, che a sua volta l’aveva ereditato dalla sua, ovvero dalla nonna della signora Gesuina. Con la sensazione di stare sopra una nuvola, tornò nella sua drogheria.

Trascorsi cinque anni, era il 2010, incontrò dal suo orafo di fiducia una signora che, guardandola con insistenza le chiese: «Non si ricorda di me? Quando ero studentessa venivo in drogheria a comprare i pesciolini di liquirizia». Felice del fatto che l’avesse riconosciuta dopo tanti anni, fecero due chiacchiere e quando Anna le rivelò che faceva parte di un gruppo folk, la invitò a vedere l’abito tradizionale di Cagliari, quello di seta, lei andò. «Da un’antica e grande valigia venne fuori l’altra versione dell’abito di Cagliari, su bistiri ’e seda. Lo comprai e le chiesi da dove provenisse, mi rispose che apparteneva a una nobildonna cagliaritana, donna Teresa Ferreli, moglie di Antonio Mostallino».

Donna Teresa, in conclusione, era la mamma di Peppina Mostallino, che si sposò con Antonio Masala, dei quali la signora Gesuina era la figlia. Ecco svelato il mistero dello scialle, apparteneva a su bistiri ‘e seda. «Per puro caso o forse no, avevo gli abiti di Cagliari provenienti dalla stessa famiglia. Queste persone hanno la mia riconoscenza e quella di tanta gente che grazie a loro può ammirare e conoscere gli abiti del nostro passato».

“… Queste persone hanno la mia riconoscenza e quella di tanta gente che grazie a loro può ammirare e conoscere gli abiti del nostro passato.”

Gli abiti tradizionali di Cagliari

Sa panattara ha la gonna in raso di seta azzurra molto voluminosa, un effetto che si otteneva indossando sotto due o tre sottogonne di tela  bianca rigida e inamidata, il gippone in raso di seta nero con le maniche a banana aderenti, lunghe fino al gomito per far sbordare la camicia, e i bottoni sardi d’argento (potevano essere anche d’oro), la cuffia di cotone nero bordata sulla fronte con un velluto di seta nero e i lacci che si legano dietro, alla base del collo, per non far vedere i capelli. Sopra la cuffia si fa ricadere la mantiglia, un trapezio di panno rosso, bordato esternamente lungo tutto il perimetro da una trina d’argento con il lavoro del tombolo a conchiglia e internamente con un raso di seta azzurra come la gonna. Il grembiule è di pizzo bianco, ricamato con decoro floreale e un ramage centrale verticale, della stessa lunghezza della gonna. Si usava indossarlo per le ricorrenze importanti come il matrimonio e il battesimo. 

 
(abito de Sa Panattara di Cagliari)

Su Bistiru ’e seda ha sempre la gonna voluminosa e il grembiule della stessa lunghezza, e tutt’ e due di seta damascata. Il gippone nero ben aderente con le maniche a banana e le code finali – dette a coda di rondine- in rasatello di cotone, si allaccia sul davanti con un  cordoncino a incrocio. Sopra il gippone si indossa sa perra, un mezzo scialle, che si incrocia sul davanti, fissando i lembi sotto l’ampio e lungo grembiule per coprire il decoltè. Su sciallu ‘e seda si fa ricadere sulla cuffia di cotone, è damascato con decoro floreale uguale a quello della gonna, si annoda sotto il mento, lasciando ricadere i lembi nell’incavo tra il petto e le braccia. Si era solti indossarlo in occasione delle feste e la domenica.


(abito Su bistiri ‘e seda di Cagliari)

Su bistiru ’è lussu ha la gonna in taftà di seta, il grembiule in raso di seta damascata, ampio e lungo come la gonna che è sempre ampia. Il gippone di velluto nero, anch’esso di seta. La cuffia di cotone, e sa perra nera (mezzo scialle) in raso di seta damascata con un decoro floreale uguale al grembiule. Lo scialle è di seta nero con ricami in tibet, nero su nero. Era l’abito del gran galà.


(abito Su bistiri ‘e lussu di Cagliari)

Anna, che è anche insegnante di ballo sardo, ha indossato il costume tradizionale di Cagliari, per ballare o sfilare, in più occasioni, tra le tante, anche nel museo delle tradizioni popolari di Roma, nel 2013, in occasione della presentazione del libro “Arcipelago Mediterraneo, la Sardegna”, di Barbara Terenzi. “Siamo stati il primo gruppo sardo a calcare la scena del museo delle tradizioni popolari di Roma”.

C’era una volta…