Antonietta Spanu, artigiana del pane, fedele custode dei metodi tradizionali, sa e lo racconta che l'arte “de fai su pani in domu”, è un patrimonio della cultura sarda, un elemento d’identità.
“Finalmente morbida, elastica e de toccu bellu, la pasta viene messa a lievitare dentro la conca di terracotta ricoperta di teli di lino, cotone o coperte di lana”, inizia così la sua magia, dal lievito madre, su fromentu.
L’ha condiviso con noi, il suo sapere. Ha spezzato il pane della conoscenza, perché Antonietta Spanu, nata a Simaxis nel 1954, sa che l’arte “de fai su pani in domu”, è un patrimonio della cultura sarda, un elemento d’identità. Fedele custode dei metodi tradizionali di panificazione, ne parla con passione e umiltà, perché non siano dimenticati. Una vera sacerdotessa, anche se, ci tiene a precisarlo, del pane di Simaxis, quello che ha imparato a fare dalla mamma, Siriana Schirru, “Ogni paese ha il suo”. Oggi allestisce mostre a tema, partecipa alle manifestazioni turistico-culturali, tiene laboratori di pani pintau, e continua a prepararlo per la famiglia e le feste: un sogno realizzato.
Ottenuto “col sudore della fronte” e l’aiuto divino, era considerato sacro e costituiva il nutrimento principale. Il sabato si faceva il pane per la settimana. In ginocchio sulla sedia, da bambina, lavorava la sua porzione di pasta, mentre la madre mescolava e schiacciava sul tavolo l’acqua e la semola di grano duro che ci metteva un po’ prima di ammorbidirsi. Quando l’impasto era liscio e compatto lo scambiava col suo ancora duro, e così di seguito finché non era pronto per essere modellato e infornato. Ma fu intorno ai 30 anni che riuscì a dedicarsi a quest’arte antica. Desiderava imparare dalla madre, che ci teneva, i segreti del panificare. Con occhi adulti poteva osservare, chiedere informazioni su quantità, tempi e passaggi. Non c’era un ricettario, “Per le dosi si andava a occhio. Ho dovuto sperimentare”.
Il venerdì si faceva sciogliere su fromentu nell’acqua, e lo si mescolava con altra semola e acqua. Il nuovo impasto, sa madriga, si lasciava poi lievitare per una dozzina di ore o poco più. Prima di iniziare a fare il pane se ne estraeva una pallina, si segnava sopra una croce e la si ricopriva con teli di cotone o lino bianco per tenerla al caldo fino al successivo impiego.
Su muffuittu, un pane ad alta idratazione e di grossa pezzatura, e su coccoi, a pasta dura, erano i pani tipici di Simaxis, si preparavano tutte le settimane. “Il loro sapore è inconfondibile, ma soltanto se si seguono i metodi tradizionali e si usa la semola di grano duro sardo in purezza, s’impiegava anche il fior di farina, ma per pani di diversa pezzatura”. Si sgranava la semola con un rullo di legno e una piccola dose iniziale di acqua e quando l’impasto era ormai liscio e compatto se ne aggiungeva dell’altra.
L’impasto di su muffuittu è morbido, lavorato a s’appungiada: dopo la pulitura con il rullo di legno, veniva riposto dentro una terrina, sa scivedda, dove si finiva di amalgamare con i pugni. Su coccoi, invece, s’impastava a sa pesada: si tagliavano svariate forme di pasta, di diversa pezzatura, e le si iniziava a decorare.
Su coccoi era dunque il pane tipico delle decorazioni. Sul coccoi di tutti i giorni si facevano dei semplici ornamenti: vi s’intagliavano sagome di uccelli o fiori. Per le feste religiose e del ciclo della vita, in particolare per la Pasqua, lo si arricchiva con aggiunte di pasta a forma di uva, grano, galletti, per citarne alcune, simboli di pace e prosperità, tutto fatto a mano, senza uso di stampini. Su coccoi pintau inoltre, si regalava alle “persone più importanti del paese”, il sacerdote, il medico di famiglia, il maresciallo, o per ricambiare un favore. A fine cottura lo si bagnava nell’acqua calda e infornava un istante per la lucidatura.
Ogni pane ha un nome e una forma tipica: il cuore con le iniziali degli sposi per i matrimoni, la croce per l’offertorio della Chiesa. Ricchi e vari erano gli ornamenti per i riti pasquali, cui s’aggiungevano le uova.
Anche i bambini ne avevano uno, che fosse festa o giorno feriale, a forma di bambolina, bicicletta o borsetta, con l’aggiunta dell’uovo per la Pasqua. Ai neonati dei bastoncini per massaggiare le gengive.
Il pane era dunque sacro, niente doveva esserne sprecato: su coccoi pintau si mangiava. Oggi lo si confeziona a scopo espositivo, senza farlo lievitare, ma dedicandosi di più alle decorazioni. “Intere giornate. E’ la mia passione. Quando faccio il pane sento che mamma è ancora con me”.
Antonietta, come si diceva una volta, “essi de manus bellas”, ha proprio il tocco dell’artista.
Pubblicato su www.mediterraneaonline.eu

Grazie di ????per il tuo bellissimo racconto…..
Buongiorno, vorrei sapere dove posso comperare il suo bellissimo pane.
Grazie e buona serata,
Daniela Marroni
3393887734