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C’era una volta un cespuglio di papaveri, era cresciuto sul ciglio della strada insieme alle margherite. Nessuno di loro aveva un nome, si amavano così.

Un uomo gli si avvicinò e con il piede destro uno ne calpestò.

Il povero papavero si afflosciò e pianse. Quell’uomo non l’aveva degnato di uno sguardo. Un petalo dopo l’altro si spense, lasciando sull’asfalto un’effigie: Ero Appena Nato.

Era appena nato quel piccolo papavero rosso, gli amici ne piansero la scomparsa per lungo tempo. Il suo urlo di dolore s’incise sull’asfalto che mai fu scalfito o eroso dalle intemperie. La gente attraversava la strada e si fermava a leggere la scritta, un ricamo di petali rossi, poi turbata, si sedeva sul muretto di pietra a pensare.

Finché un giorno un bambino di poche parole e con gli occhi grandi e scuri, si fermò a osservare quel ricamo e se ne innamorò. Lo guardava e toccava, poi con le sue piccole mani ne seguiva il profilo, i contorni ramati, ripetute volte. Finché d’un tratto, da un pertugio del marciapiede si librò una Giana. Lo sguardo del piccolo alla sua vista s’illuminò, lei gli svolazzò intorno e lo esaminò. “Questo bambino è particolare. Bizzarro”, pensò tra sé,” cammina come un astronauta e si fissa sugli oggetti”. In quel momento, infatti, il piccolo osservava in modo ossessivo le sue minuscole ali di raso bianco, cercando di afferrarle. “Ehi, le ali non si toccano!”, lo intimò più volte, ma sembrava non udire le sue parole. Poi lo sguardo ritornò sull’asfalto, notò la scritta di petali. Il viso le si rattristò. In quel geroglifico rosso lesse il cuore del Piccolo Papavero e intuì l’accaduto.

Erano trascorsi dieci anni da quel tragico giorno. Si sedette sul muretto, assorta. Poi sorvolò ancora sull’incisione ramata e si abbandonò sopra le fronde dell’albero di gelso poco distante. Chiuse gli occhi. L’immagine di un campo di papaveri attraversò la sua mente, poi quella di un cielo limpido su cui si ergeva una poesia trascritta con caratteri ramati.

 

“Ero appena nato,

la corolla si era schiusa al primo raggio di sole,

e ancora qualche goccia di rugiada accarezzava il mio stelo,

intorno avevo gli amici con cui condividevo l’isoletta sul ciglio della strada

ed ero felice, pieno di attese e speranze.

C’era il campo di margherite,

l’orizzonte del cielo che conduceva lontano,

le buche della strada,

i formicai e le ragnatele,

meravigliose…

Sulla recinzione crescevano piccoli ciuffi d’erba e qualche fiorellino viola

e poi c’era il gatto nero che ci annusava, disseminando ciuffi di peli dappertutto.

 

Il mondo era bellissimo

 

Non vedevo l’ora di schiudere la corolla,

di lasciarmi dondolare dal vento, bagnare dalla pioggia,

intorpidire dai raggi del sole.

 

La vita era bellissima

 

Avevo udito per la prima volta il gallo cantare,

la mosca ronzare intorno,

e con loro avrei voluto parlare.

 

Ero orgoglioso di me

avevo tutta la bellezza del mondo,

il rosso dei petali, la grazia e gentilezza,

sapevo che di me si poteva gioire.

 

Poi quel piede mi calpestò

E mi spezzò in due.

 

Avevo appena aperto gli occhi

 

Il ragno era uscito dalla sua ragnatela

e la rugiada mi faceva il solletico

 

Quell’Uomo infranse tutti i miei sogni

 

Avevo creduto di essere Amato,

desiderato per la gioia dei miei petali,

Ma quell’Uomo non mi degnò di uno sguardo,

non si curò della mia bellezza

 

Mi Calpestò …

 

Morii di dolore,

 

Avevo creduto di essere nato da un atto d’amore e

che amore fosse dappertutto

 

Avevo creduto di essere Amato

La Giana nel leggere la poesia si commosse, calde lacrime scesero dai suoi occhi color della terra, e proprio in quell’istante il messaggio del Piccolo Papavero si librò in alto nel cielo con i suoi petali, lasciando il posto a un altro fiero papavero rosso che crebbe giorno per giorno insieme a tanti altri come lui. I giovani papaveri, intrecciati gli uni sugli altri, divennero talmente forti, che nessuno riuscì più a calpestarli.

Il bambino aveva osservato, stupito, i petali volare, avrebbe voluto afferrarli. Poi il nuovo papavero attirò la sua attenzione, avvicinò l’orecchio alla sua corolla come se volesse ascoltarne la voce e appoggiò le sue mani sullo stelo.

La Giana lo guardò con dolcezza e sorrise. “Bambino delle profondità”, pensò, “intuisci il mistero, il senso, la verità…”.

Lo prese per mano e volarono via.

Alessandro, questo era il suo nome, soffriva di un disturbo dello “spettro autistico”, “si era riconosciuto nel dolore del Piccolo Papavero. La Giana degli Abissi accolse quel patire ed esso svanì. Crebbero altri papaveri più forti e consapevoli e per il piccolo ebbe inizio una nuova vita” .

Pubblicato su Favole e Fiabe, Historica, edizione 2019.